Dreams 4.


Sono nel mio quartiere, ma lo spiazzo su cui è posizionata la mia “casa” mi ricorda tanto il terreno su cui nonno aveva un capannone. L’atmosfera è estiva. Dico “casa” perchè effettivamente non ne ha le sembiaze, sembra più che altro una tenda da circo. E’ fatta di quella stoffa leggera con cui si confezionano i costumi di carnevale dei bambini, blu scuro, quadrata. Il vento la fa gonfiare e sgonfiare in continuazione. Io vivo li, con mio padre e mia madre, ma a quanto dicono, sembra che ci rimarremo “solo per l’estate”, quasi fosse una casa-vacanze.

Una telefonata, un mio vecchio, assillante e problematico (per me) compagno di classe.  Un mix di arroganza, orgoglio, permalosità e vanità. Una delle tante persone che non riconosco/capisco più.  Mi chiede di vederci, di prendere un caffè insieme, ed io cerco di sviare. Come suo solito inizia a prendersela, attaccando una di quelle filippiche interminabili che, lasciandoti sfinita, non riesci a dire altro che “Va bene, a che ora?”.

“Sono già sotto casa tua, scendi.” E scendo.

Non vorrei uscire, non sò perchè ma qualcosa mi trattiene li. Forse la disabitudine ad uscire. Non lo faccio da un pò, effettivamente.

Siamo in macchina e dice che stà cercando lavoro, ed io gli consiglio di chiedere ovunque, perchè di lavoro, oggigiorno, non ce n’è proprio. Lui si ferma in una specie di centro commerciale minuscolo, dove però (guarda caso) incontriamo altre mie vecchie compagne di scuola. Ammazza che culo!

Lo conosco, si vorrà certamente aggregare, anche perchè se non ha la possibilità di sfoderare il suo fascino su qualcuno che possa “cedere” (quindi non io), scoppia. Se non è in una situazione in cui possa pavoneggiarsi, sicuramente se la crea.  Mi tocca mandare giù sto boccone amaro. Odio quando si esce in due e poi si diventa in 5 (o più), perchè ogni discorso non viene mai portato a termine e non è mai ascoltato con attenzione/compensione. Tutto diventa più frivolo quando si è in tanti. Per me è come ricevere tante piccole ma fastidiose gomitate nelle costole. Odio i cambi di programma. Evvabhè, eravamo usciti per chiacchierare e mi ritrovo ad ammirare una puntata di Quark: il pavone e la sua gonfia coda.

Dico che devo andare. Si era fatto effettivamente tardi e volevo tornare a casa. Allora tutti dicono che mi avrebbero lasciata davanti casa nel tragitto per raggiungere ulteriori altri amici.

“Ok, allora, andiamo?”

Pare di no. La conversazione si è come animata e sembrano non volersi staccare da quel cavolo di tavolino. Così prendo l’iniziativa. Sono infuriata. Agguanto di scatto le chiavi di un motorino trovate su una sedia e mi avvio verso casa, ma……faccio poca strada e il serbatoio si svuota. Manca ancora un bel pò, ma posso tranquillamente percorrerlo a piedi.

Che te lo dico a fà. Dopo neanche due minuti me li ritrovo alle spalle, urlandomi di salire. Non sopporto gli schiamazzi, e, per farli/e tacere, salgo. Sò perfettamente che quando le cose vanno così non ho speranze di tornare a casa nei tempi stabiliti, ed infatti si fermano in piazza dove hanno ritrovato altri amici, amici di amici, amici di amici di amici.  A quel punto sono veramente esausta. Doveva essere una passeggiata per un caffè e si è trasformata in una sagra di paese.  Non sono un tipo COSI’ sociale. Forse un tempo lo sono stata, ma certe situazioni mi rincoglioniscono oggi come allora. Se non di più. Imbocco la discesa per tornarmene a casa. “Ma chi me lo ha fatto fà?” è il mio unico pensiero. Anzi no, “Mai più” è l’altro.

Mi raggiunge la palla al piede che mi ha costretta ad uscire. Dice “Dai, almeno fino a casa ti accompagno io”. Eccerto. Ci sarebbero voluti tre-minuti-tre PRIMA. Potevi farlo, allora, perchè a me i favori a contentino proprio urtano il sistema nervoso.

Lo lascio indietro, sfoderando una falcata che manco Bolt. La strada, che normalmente è asfaltata, ora è tutta in sanpietrini.E’ l’alba. Ho il terrore di tornare a casa e trovare mio padre già sveglio, pronto per andare a lavoro. Mi avvicino piano. Effettivamente le luci dentro sono accese. Mi accosto quatta quatta, sollevo il lembo della tenda più esterno e mi sdraio nell’intercapedine, sulla tavola che normalmente fà da panca per il tavolo. Me ne stò li. Fisso il blu ondeggiante della tenda e forse mi addormento (figo addormentarsi in un sogno!!!).

Quando riapro gli occhi, il lembo interno della tenda è sollevato proprio nel punto in cui io sono sdraiata. Avverto del movimento e vado a controllare. Ed infatti. Papà tiene tra le mani un corpo, piccolo, esile, di donna. Mi dice “E’ morta”. Sembra quasi una bambina. Lo rilascia sul letto ed io stò ferma li. Aspettando che lui mi dica qualcosa.

Torno in cucina, mi siedo sulla panca del tavolo. Lui mi chiede se sono d’accordo a vendere la tenda, ora, e prendere una casa nuova. Gli rispondo che per me può fare quel che vuole, dopotutto, è mio padre. Così lui inizia a sognare di posti lontani affacciati sul mare, un paese assolato dove poter trascorrere giorni sereni.Ed io sogno con lui.

Stavolta non incolperò Cleo del mio risveglio. La WIND l’ha anticipata.

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