Ho visto cose…

Aeroporto Orio al Serio. Solito tran-tran. Una settimana su, due settimane giù, e così via.

Un’allerta meteo a fomentare l’ansia da rientro.

Vado? Non vado? Vado col treno tra qualche giorno? Resto e basta fino al prossimo aereo? Chiamo mamma(=torna a casa!), sento Lui(=ti prego resta!), sento papà(=fa’ n po’ come te pare!). Gran referendum sul da farsi.

Scorriamo tutti i Tg della fascia oraria dalle 19 alle 20:30, mi faccio coraggio, chiudo la valigia e ci incamminiamo. Saluti, baci, carezze, promesse, speranze prima di varcare la soglia della sicurezza.

Arrivo al Gate n°12. 

Stanno imbarcando un volo per Madrid, leggo sullo schermo l’odiosissima parola DELAYED, abbasso lo sguardo sull’orario. 23:00.

“OK. Stai calma. Non è la prima volta che parti in ritardo, mettiti lì, buona buona col tuo libro e leggi.” mi dico.

Nel frattempo, al gate di fronte, si allunga la fila per Budapest. Inizia il loro imbarco e tutti composti avanzano di passo in passo verso il varco del gate. Purtroppo ancora non sanno cosa li aspetta. Io che, insieme ad una ragazza conosciuta proprio in quel momento, ho assistito allo spettacolo pietoso, non volevo crederci. Continua a leggere

Convivenza domestica Vol.4

Che poi pare quasi una cosa da bambini, ma pensandoci bene, tanto da bambini non è.

Ho notato che ogni giorno è sancito da qualcosa e proprio quel qualcosa torna a ripetizione di volta in volta a volerti ricordare che da quella forza cosmica non ne pòi uscì.

Oggi è uno di quei giorni in cui cadono le cose. Continua a leggere

Agrodolce.

C’è che capitano giornate agrodolci. Quelle giornate che ti svegli con un diaovolo per capello perché hai dormito ZERO ed hai un colloquio importante.

C’è che ti alzi due ore prima del suono della sveglia perché in casa è un contonuo squillare di telefoni perché tuo padre è appena stato ricoverato in ospedale. Appendicite acuta.

C’è  che fai un respiro profondo e cerchi di non soccombere all’ansia che ti stà divorando, temendo di non essere abbastanza, pensando di dover rimandare l’incontro per star vicino a papà, credendo di non farcela.

Ma ti butti sotto la doccia e lavi via ogni timore. Sfoderi il tuo sorriso migliore, pettini i capelli in quel modo che ti sta’ tanto bene e indossi, sotto a tutto, quella maglietta che pensi ti porterà fortuna.

E forse così è stato.

Torni a casa.

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Ho freddo.

Non è una situazione facile, e non è facile neanche spiegarla, perché già a me, per prima, sembra assurda. Ma devo farlo perché non mi sento capita.

Non è raro che una volta a letto, sotto le coperte, a tarda notte, io ancora non dorma, ma tremi. Tremo perché ci sono troppe cose che vorrebbero scoppiare, troppe delusioni tenute li, buone, con la garanzia che andrà tutto bene, domani. Tremo perché ho freddo, di quel calore che scalda il cuore, che lo sprona a battere, di gioia, d’amore, di felicità.

Io non sento più nulla. Sono delusa, amareggiata, sconfortata e stò cercando di fare i conti con questo muro contro il quale prima o poi dovevo andar a sbattere. A me è successo ora, in questo periodo della mia vita. A chiunque altro potrà capitare prima, dopo, o mai. E’ successo e non posso più tirarmi indietro.

Sono una persona maturata ma mai cresciuta. Sono la bambina molto alta o la donna troppo minuta che mio padre teneva morta tra le braccia, nel sogno di ieri. E la mia lotta è ucciderla, perché non sono io. Ma la domanda è CHI sono io? Continua a leggere

Dreams 4.

Sono nel mio quartiere, ma lo spiazzo su cui è posizionata la mia “casa” mi ricorda tanto il terreno su cui nonno aveva un capannone. L’atmosfera è estiva. Dico “casa” perchè effettivamente non ne ha le sembiaze, sembra più che altro una tenda da circo. E’ fatta di quella stoffa leggera con cui si confezionano i costumi di carnevale dei bambini, blu scuro, quadrata. Il vento la fa gonfiare e sgonfiare in continuazione. Io vivo li, con mio padre e mia madre, ma a quanto dicono, sembra che ci rimarremo “solo per l’estate”, quasi fosse una casa-vacanze.

Una telefonata, un mio vecchio, assillante e problematico (per me) compagno di classe.  Un mix di arroganza, orgoglio, permalosità e vanità. Una delle tante persone che non riconosco/capisco più.  Mi chiede di vederci, di prendere un caffè insieme, ed io cerco di sviare. Come suo solito inizia a prendersela, attaccando una di quelle filippiche interminabili che, lasciandoti sfinita, non riesci a dire altro che “Va bene, a che ora?”.

“Sono già sotto casa tua, scendi.” E scendo.

Non vorrei uscire, non sò perchè ma qualcosa mi trattiene li. Forse la disabitudine ad uscire. Non lo faccio da un pò, effettivamente. Continua a leggere

Primo incontro.

Ebbene si. Questo è il mio pubblico outing. Non stò bene, e devo ritrovare dove mi sono nascosta. Devo ritrovare la me che ero un tempo, organizzata ma non troppo. Motivata più che mai. Gioiosa di apprendere e incuriosita dalla conoscenza. Aperta con il mondo e affettuosa da morire. Il fatto è che….proprio non me lo ricordo dove mi sono appoggiata l’ultima volta! Continua a leggere

Poi dicono che scleri.

Mercoledì pomeriggio, ultima revisione prima della consegna. Nel gergo architettonico significa “ultimo ok per arrivare all’esonero senza problemi”. Laboratorio di progettazione 3, l’ultimo, in teoria, del triennio. Finalmente non abbiamo più a che fare con le solite casette ripropinate in tutte le salse: doppie, in stile, da ristrutturare. No. Questa volta dobbiamo progettare una “foresteria” ad uso esclusivo per gli artisti del MAXXI. Iniziamo col dire che nessuno si è preso la briga di spiegarci cosa sia una foresteria, se non con:  “una specie di albergo“. Continuiamo col dire che siamo stati divisi in gruppi di circa 30 studenti seguiti da 1 o (chi è stato fortunato) 2 assistenti del prof. Sembrava fossi stata fortunata, visto che ero capitata nel gruppo con due assistenti. E invece. Continua a leggere

Nebbia.

Aeroporto di Ciampino di venerdì mattina. MAI PIÙ.

Ore 5:00. Una fila interminabile intorno quel labirinto che ti rincoglionisce girando e rigirando continuamente su te stesso, ultima chiamata per il volo per Cracovia e si scatena il PANICO: chi passa avanti a destra, chi spintona a manca, e gira che ti rigira mi ritrovo quasi in fondo alla fila, dopo mezz’ora di giri di peppe intorno a quei cavolo di paletti, il sonno ancora impastato negli occhi, che grattano. Aricominciamo da capo. -.-‘ Continua a leggere